Sebastiano Messina
Le forme di cui sono fatti i sogni - Teatralità dell’Immagine
prefazione di Carlo Fabrizio CarliHeliopolis Edizioni
21 ottobre 2011
Biblioteca SANDRO ONOFRI Via Lilloni, Acilia
a cura di Livia
Compagnoni
Già il titolo di per se stesso ci
rimanda ai versi celeberrimi di William Shakespeare ne “La Tempesta” (atto IV°,
I, 156) pronunciati da Prospero : “Noi siamo fatti della stessa sostanza di cui
sono fatti i sogni” che così prosegue : “E nello spazio e nel tempo d’un sogno
è racchiusa la nostra breve vita”.
Il titolo propone un insieme di
elementi che lascia spaesati su quale sia il confine tra realtà e irrealtà. Lo
stato di veglia non è anch’esso un sogno? oppure è il sogno ad essere appendice
dello stato di veglia?
Questione che rimane comunque
irrisolta poiché nelle fotografie di Sebastiano
Messina , non troviamo la risposta ma solo il quesito. La
“sostanza”, luogo di riferimento della materia è linguaggio simbolico esclusivo
della persona, non codificabile, che sogna e la nostra breve vita è avvolta nel
sonno. La materia è termine che appartiene a ciò che interagisce con noi, luogo
dell’azione, e il sogno è indicazione, rivelazione, coinvolgimento, il sogno
sembra essere il nostro riferimento reale, noi siamo il sogno, è come se i
sogni fossero tangibili, forme che agiscono su piani e dimensioni sospese,
esseri ed energie che nel sogno vivono l’interscambio continuo.
Il risultato di questo
accostamento fra forma e rappresentazione, origina un accostamento fra lettura e
osservazione. Accostamento fuori luogo
dato che l'uno tende a contraddire l'altro creando un “cortocircuito visivo”
fra le due grandi facoltà della percezione visiva: leggere e vedere.
Delineare lo statuto della soglia
in quanto “indice”, “condizione
di” possibilità della rappresentazione e “fulcro” percettivo dei
suoi contenuti, contribuirà a tracciare alcune possibili figure.
La posizione “liminare” e la funzione di
cesura tra due diverse forme di realtà, il mondo fenomenico e la
rappresentazione pittorica, fanno della porta un oggetto estremamente ambiguo
in quanto "luogo, o non-luogo”, di un'articolazione mai semplice, mai data
una volta per tutte, tra lo spazio dell'opera, “che sarebbe il di dentro” della
rappresentazione, e lo spazio dello spettatore, “che sarebbe il di fuori”. Ambiguità
che viene inoltre accresciuta dal fatto che la cornice della porta,
sembra esercitare la sua massima funzionalità come centro d'aggregazione,
coerenza percettiva dell'immagine, nel momento stesso in cui si cela e si
nasconde come limite.
Si può descrivere come una lacuna
continua che distacca il disegno dal suo intorno. Poco importa il modo nel
quale la discontinuità si realizzi; può essere costituita da un contrasto di
forma o di colore, da un mutamento di direzione, o persino da uno spazio vuoto.
Basta che l'osservatore sia allertato da una “netta rottura della regolarità”,
che funzionerà come barriera e che indicherà una zona che valga la pena di
esaminare, e lo farà tanto più efficacemente
quanto più semplice ne sarà la forma.
Limite di Trascendenza
Molte sono le allegorie in cui la porta è ‘segno’ di
un’altra realtà, qualunque sia la
posizione o condizione, la porta è un’apertura che permette di entrare o di
uscire, comunque pone e si pone come un problema che deve essere affrontato.
Problema universale, espressivo
del passaggio in quanto appartiene ad ogni uomo che interroga se stesso e il
significato di questo transito.
Al limite della chiusura
Il rapporto tra interno-esterno
viene presentato in tutta la sua ambiguità percettiva dove una porta, sembra
isolare una porzione di spazio all'interno dell'immagine. A una lettura attenta
si nota però la presenza significativa di un segno grafico – una freccia
nera – a dx del margine verticale
della cornice. Con questa piccola intrusione Messina, stimola uno sconcertante
ribaltamento percettivo, obbligando lo spettatore a una radicale rilettura
della fotografia : quello che sembrava lo sfondo dell'immagine balza ora
prepotentemente in primo piano, presentandosi non più come porzione di
paesaggio incorniciato, bensì come enunciato figurale compiuto. Tra questo
enunciato interno alla rappresentazione e il paesaggio che gli fa da sfondo
esiste un ambiguo ma solido terreno di comunicazione: la contiguità della linea
dell'orizzonte e del cielo. Le tradizionali coordinate di lettura dell'immagine sono esibite con meticolosa precisione al fine di essere sistematicamente smentite.
Spetzes
Il tema del "quadro nel
quadro" è proposto attraverso l'esibizione di una realtà e di uno spazio
racchiusi strettamente entro i confini della rappresentazione. L’anta della
porta aperta, introduce l'immagine, rivelata o svelata dall'apertura della
porta stessa, di natura completamente differente rispetto al paesaggio che le
fa da sfondo. Tuttavia i diversi piani della rappresentazione sono in
comunicazione tra loro.
L'ambiguità tra i confini
dell'immagine, l'interscambiabilità dei diversi piani della rappresentazione,
il carattere paradossale e ambivalente dello stesso
oggetto-manichino-bambina è estraneo ma
al tempo stesso coerente e contiguo al modo dell'enunciato
rappresentato, paese delle meraviglie il più fantastico dei sogni, il viaggio
di Alice, vale a dire il regno dell’immaginario
Limine
In questa foto, una porta che non c’è, sfonda la parete divisoria tra due ambienti, tra due spazi. Rappresenta un limite meno categorico rispetto alla finestra, la quale separa 'cultura' e 'natura', mentre la porta si limita a costituire uno iato nel mondo della cultura .
Porta, come soglia di ingresso e
diaframma di passaggio alla rappresentazione e ai suoi codici costitutivi;
porta come via d'accesso alla riflessione sull'immagine. Il motivo della porta
viene utilizzato come "metodo di autodefinizione della rappresentazione di
interni“, riprende ed enfatizza la funzione interpretativa del topos
della porta utilizzandolo per sottolineare il "carattere dialogico"
dentro-fuori dei diversi piani dell'immagine.
Rispetto alla tradizione che
attribuisce alla figura centrale il ruolo di "guida" all'immagine,
qui è l’immagine in primo piano, apertura nella parete, che invita a
oltrepassare con lo sguardo la soglia chiusa dietro la quale è inscenata la
rappresentazione vera e propria.
Come indice e soglia dell'ingresso
nel mondo della rappresentazione, la prima apertura nella parete, deve
necessariamente porsi come linea di demarcazione tra immagine e l’immagine della porta chiusa
sullo sfondo, come tessuto connettivo tra due spazi assolutamente distinti deve
poter stabilire una congiunzione di pertinenza interna all'enunciato
rappresentato.
Proprio per questa sua natura liminare, la
porta assume un ruolo chiave all'interno dell'indagine sullo statuto dell'opera
d’arte e sui margini della rappresentazione, presentandosi come il
"cardine" attorno al quale ruota la riflessione sui meccanismi di
produzione illusionistica delle immagini.
Epiphania
Nella fotografia Epiphania, Messina,
ci presenta l'immagine interna di una stanza. Una piccola finestra quadrata,
semiaperta incornicia il sole che illumina il mondo esterno. C'è molto da dire
su questa fotografia, in particolare attraverso la creazione elegante di zona
di luce e di oscurità estrema, attraverso la giustapposizione di profili scuri,
senza spessore (la cornice dell’immagine religiosa) proiettati su uno sfondo
immerso nel buio, veniamo rimandati alla percezione di quello che potrebbe
essere un catalogo di autodefinizioni, una composizione complessa in cui è
mostrato ciò che è, per sua natura, la fotografia.
A sinistra, appesa alla parete,
si trova una immagine incorniciata, provvista di vetro che, come se si
trattasse di uno stesso cliché, restituito da uno specchio, ci rimanda parte
della finestra, aperta, con il suo parziale raddoppio sulla parete.Inserita nella fotografìa si trova una dimostrazione della riproducibilità che è al centro del processo fotografico e che si ripercuote sull'immagine che abbiamo sotto gli occhi. C'è naturalmente la luce, come fonte di visibilità da cui dipende la fotografia. C'è poi la finestra stessa, mostrata sotto forma di anta-cornice, aperta sulla scena, apertura che permette alla luce di entrare.
Essendo questione di simboli,
risulta evidente che ci troviamo di fronte a un otturatore : l'apertura
meccanica che permette alla luce di penetrare nella camera oscura della
macchina fotografica.
Abbiamo una costellazione di
segni, per mezzo dei quali l'immagine rimanda al procedimento che è all'origine
del suo essere specifico e che la definisce.
Questo aspetto è il
riconoscimento del taglio della realtà, del fatto che la fotografia riproduce
il mondo, ma lo fa per frammenti. Una fotografia è ritagliata, non
necessariamente da forbici o da cornice, ma dalla macchina fotografica stessa.
La macchina, in quanto oggetto, taglia una porzione di campo infinitamente più
grande. Una volta ritagliata la fotografia, il resto del mondo è eliminato dal
taglio. La presenza implicita del resto del mondo e la sua espulsione esplicita
sono aspetti fondamentali della pratica del fotografo quanto ciò che egli
mostra esplicitamente.
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